Si fa un gran parlare di idrogeno, ultimamente, soprattutto come possibile combustibile
alternativo per le automobili, tanto che la BMW ha immesso sul mercato il primo
modello commerciale ad idrogeno gassoso, mentre la General Motors ha presentato il
prototipo di una vettura con quattro motori elettrici alimentati a celle a combustibile (fuel cell).
Esiste anche un consorzio di città europee in cui si stanno sperimentando autobus ad
idrogeno (inutile dire che mancano le città italiane, difficile che da noi si guardi al futuro, è già
tanto quando si adottano tecnologie mature...).
Ma veniamo a Rifkin. Gran parte del libro, oltre i due terzi, non parla affatto di idrogeno, ma è
costituito da un'ampia analisi delle economie fondate sui combustibili fossili, o su altre fonti
utilizzate prima di esso (il legno, il carbone, ecc.). Secondo Rifkin i rapporti economici e la
struttura stessa delle società sono determinati innanzitutto dalla quantità di energia che
riescono ad utilizzare. Ad un maggiore flusso energetico corrisponde una maggiore ricchezza
individuale ed una maggiore complessità organizzativa della società. In effetti riesce difficile
dargli torto ed è molto interessante la tesi riguardante l'estrema vulnerabilità della società attuale,
basata su un flusso ininterrotto di petrolio e metano a basso prezzo, provenienti soprattutto
dal Medio Oriente. Dal discorso emergono alcuni dati di estremo interesse:
Mentre negli anni '80 la quota di petrolio mediorientale è andata declinando, essa sta salendo
di nuovo. Quando gli altri pozzi saranno in via di esaurimento e l'estrazione sarà più costosa, l'unico
petrolio a buon mercato sarà quello di Arabia Saudita, Iraq e Iran (40% delle riserve mondiali). Il Medio
Oriente è quindi destinato a diventare sempre più importante, a livello geopolitico.
Il giorno in cui la produzione petrolifera non riuscirà a soddisfare la domanda, con conseguente
aumento dei prezzi, non è molto lontano. Le stime riportate vanno da due o tre anni, nel caso peggiore,
a circa 25, nel caso migliore. Rifkin assume, come ipotesi di lavoro, una dozzina di anni.
La produzione elettrica si sta convertendo rapidamente, in tutto il mondo, dalle centrali ad
olio combustibile a quelle a metano, che inquina meno e la cui domanda dovrebbe essere soddisfatta
senza problemi fino all'anno 2030 o giù di lì.
Come si vede, tutte le ipotesi concordano nel prevedere la fine dell'era dei combustibili fossili
entro la prima metà del XXI secolo e diventa quindi importante capire verso quale nuovo modello energetico
sia possibile migrare, e come. Qui il libro è relativamente carente di informazioni, anche se la proposta di
Rifkin è chiara: una società basata sull'idrogeno, come vettore, e su un diverso modello di
produzione e consumo delle risorse energetiche. Da un sistema basato su grandi centrali e grosse società che
producono e distribuiscono l'energia (benzina per le automobili, elettricità per case e industrie),
si dovrebbe passare alla generazione distribuita, in cui i cittadini non solo consumano, ma producono
anche in proprio, mettendo poi le risorse in comune, in una rete che sarebbe l'analogo, per l'energia,
di quello che è il Worldwide Web per l'informazione.
Tutto ciò è molto affascinante, ma quando si arriva al punto più importante, ovvero al come si può produrre
tutto l'idrogeno necessario, non ci sono molte notizie. Da un lato sembra che per ora il metodo più
economico consista nell'estrarre l'idrogeno dal metano, ma è ovvio che ciò può solo produrre, come effetto,
una riduzione dell'inquinamento nelle città, mentre continuerebbero le emissioni di anidride carbonica
nell'atmosfera e si rimarrebbe dipendenti dai combustibili fossili. Inoltre, ciò nel libro non è scritto,
bruciando idrogeno estratto dal metano si rischia di ridurre l'efficienza energetica complessiva, perché
ogni trasformazione energetica comporta delle inevitabili perdite (anche se ad onor del vero l'efficienza
delle fuel cell nel generare elettricità è superiore a quella delle centrali termiche, quindi servirebbe
un'analisi più dettagliata).
L'altro metodo per produrre idrogeno è quello di separare l'acqua nei suoi componenti, ossigeno ed idrogeno.
Poi, quando si ossida l'idrogeno in una fuel cell, ci troviamo di nuovo a produrre acqua... Evidentemente,
come è correttamente sottolineato nel libro, questo processo ha senso solo se per produrre l'idrogeno
dall'acqua si fa ricorso a fonti rinnovabili, come ad esempio l'energia eolica e solare. Esso sembra
quindi più che altro un buon modo per immagazzinare energia prodotta da fonti discontinue (il
fotovoltaico non produce di notte e non sempre c'è vento) e solo quando la domanda istantanea sia già
stata soddisfatta, vorrei modestamente aggiungere. Se si ha a disposizione un certo numero di kWh da eolico e
solare, infatti, conviene innanzitutto utilizzarli per la domanda elettrica di quel momento,
invece di convertirli due volte prima in idrogeno e poi di nuovo in elettricità, con le inevitabili
perdite che ne conseguono. Solo l'energia eccedente, prodotta nei momenti di basso consumo, potrà
convenientemente essere accumulata in idrogeno ed utilizzata poi nei momenti di picco della domanda.
Penso che sia molto difficile prevedere ora come organizzeremo in futuro la produzione e la
distribuzione dell'energia (e sicuramente nella visione di Rifkin non mancano eco idealistiche e romantiche
che lasciano un po' perplessi), ma sicuramente la generazione distribuita, le fonti rinnovabili e l'idrogeno
come vettore avranno un ruolo importante da svolgere.
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Alcuni brani:
Se la prospettiva di un'autentica crisi energetica globale è un fenomeno inedito, la
storia umana abbonda di esempi di grandi civiltà che, non avendo saputo cogliere
segnali allarmanti, una volta esaurito il loro regime energetico hanno subito un
crollo catastrofico.
La trasformazione verso una civiltà fondata sui combustibili fossili è avvenuta più
rapidamente di qualsiasi altro cambiamento di regime energetico verificatosi nella
storia del mondo. Solo centotrent'anni fa, negli Stati Uniti, i tre quarti del
fabbisogno totale di combustibile erano costituiti dal legname, utilizzato
non solo per il riscaldamento, ma anche come carburante per battelli a vapore
e locomotive ferroviarie. La maggior parte delle attività indistriali del tempo
si rifornivano di energia attraverso mulini a vento o ad acqua.
Il petrolio, la fonte di energia che, nel Novecento, ha contribuito a fare
dell'Occidente una forza economica, politica e culturale incontrastata, oggi,
in mano a un mondo islamico determinato a riconquistare il proprio status di
arbitro culturale e spirituale del pianeta, può diventare l'arma che lo
distruggerà.
L'evoluzione ha come risultato la creazione nel
mondo di più vaste isole di ordine a prezzo di un più vasto oceano di
disordine. Se questo è vero per le specie e per gli ecosistemi, lo è altrettanto per i
sistemi sociali dell'uomo.
Il surriscaldamento globale è la faccia nascosta del bilancio economico
dell'era industriale. Negli ultimi secoli, e soprattutto nel Novecento,
l'uomo ha bruciato quantità incommensurabili di energia solare
"immagazzinata" in forma di carbone, petrolio e gas naturale, per
produrre l'energia che ha reso possibile lo stile di vita industriale.
Dalle scelte che la civiltà compirà i questo punto di svolta del proprio regime
energetico dipenderà se riuscirà a riorganizzare il proprio sistema e a
rinnovarsi, o se dovrà fare i conti con il deterioramento progressivo delle
proprie infrastrutture e con la conseguente morte e decomposizione della società.
La civiltà fondata sul petrolio, il regime energetico di maggior successo
nella atoria dell'uomo, è a pochi anni da tale punto di svolta.
L'economia dell'idrogeno porterà con sé, proprio come accade nell'era dei
combustibili fossili, un nuovo modo di pensare l'organizzazione della
nostra esistenza.
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