Alcuni brani:
Alcuni brani:
Dal mare, in lontananza, grattacieli bianchi a grappoli. Oltre al bianco: tutti i colori delle spiagge, il
grigio e il marrone delle case dei bairros, i quartieri più poveri, l'azzurro, il rosa e il giallo
ocra delle case del centro storico, il Peolurinho. Colori distribuiti come un di più su una consistenza
che non ha bisogno di toni. La limpidezza entusiasmante dell'atmosfera. La cappa umida di quando fa
caldo. Il cielo che si scatena senza pause quando piove. L'oceano, le onde lunghe al largo della baia.
Qui i sensi avvertono qualcosa che è nell'aria, e in esso trovano risposta.
Sembrerebbero esserci due tempi. Uno corrisponde al fato, l'altro alla contingenza della vita quotidiana.
Il tempo del fato è lentissimo. Quello quotidiano, molto veloce. "Dio scrive dritto, ma su righe storte",
dice un proverbio brasiliano.
Città doppia. Doppia identità sociale, con conseguente oscillazione, dolorosa, tra ricchezza e povertà.
Doppi stati d'animo, per cui dalla incontenibile allegria ci si trova catapultati in tristezze senza scampo.
Questa e altre due ladeiras, la Ladeira da Misericordia e la Ladeira da Montanha, vennero riprese
da Orson Welles in una sua breve visita alla città, nel 1942. Welles rimase molto colpito. Definì
Salvador "un luogo fuori dal comune".
È una chiesa cattolica evangelica, un binomio che solo in questo universo sincretistico può
assumere un suo senso compiuto. La Igreja de São Lázaro. Lazzaro: quella icona di martirio
(le gambe devastate dai morsi dei cani) che il sincretismo baiano associa all'orixà Omolú,
curatore di anime e di corpi, vecchio appestato dal vaiolo per quanti sono i dolori dei quali si fa carico.
A tenere messa nella Igreja de São Lázaro, il lunedì mattina, è una donna. La carnagione
mulatta ai limiti del chiaro, i capelli lunghi raccolti in una grossa treccia, la montatura nera degli
occhiali che accentua lo sguardo fermo, segno del carattere forte.
[...] alzando in alto gli occhi si può vedere un gigantesco crocifisso. Sta incastonato nel declivio
della collina. È coloratissimo: verde rosso giallo (i colori dell'axé). Ai piedi del
Cristo, a caratteri cubitali (tanto da poter essere letti a grande distanza), sta scritto "Vida".
Più che un crocifisso, pare un totem. Così allegro, impertinente, fragoroso. Simbolo, anch'esso, di
questo mondo solo all'apparenza sregolato.
Tra un gruppo musicale e l'altro, il presentatore espone uno dei concetti fondamentali qui, quello di
curtir (a mezzo tra "godere" e "approfittare"). È una versione edonistica della presenza
mentale predicata in Oriente. Godere di ogni istante, senza pause, e senza troppo distinguere i momenti
buoni dai cattivi. Semplicemente approfittare e gustare, vivere ogni momento come fosse l'ultimo.
"Morissi stasera", senti il presentatore declamare nel microfono, "dovrei poter dire di aver approfittato
davvero di tutto...".
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