Alcuni brani:
Alcuni brani:
"Il mondo è tutto ciò che ha luogo," scrive Wittgenstein nella sua prosa mirabile.
Nel 1974 Pechino non aveva luogo: non vedo come potrei meglio esprimere la situazione.
Certi paesi fanno l'effetto di una droga. E' il caso della Cina, che ha lo straordinario potere di rendere
pretenziosi tutti quelli che ci sono stati, e addirittura tutti quelli che ne parlano.
Prendete una banda di ragazzini di tutte le nazionalità: rinchiudeteli insieme in uno spazio
ristretto e cementificato. Lasciateli liberi e senza sorveglianza.
Chi suppone che i ragazzi si daranno la mano con amicizia è davvero un ingenuo.
Il nostro arrivo coincise con una conferenza al vertice in cui fu deciso che la Seconda Guerra
mondiale era stata conclusa in modo affrettato.
Bisognava rifare tutto da capo, visto che niente era cambiato: i cattivi non avevano mai smesso
di essere i Tedeschi.
Il centro del mondo abitava a quaranta metri da casa mia.
Il centro del mondo era di nazionalità italiana e si chiamava Elena.
Elena divenne il centro del mondo appena i suoi piedi toccarono il suolo di cemento
di San Li Tun.
Suo padre era un italiano piccolo e agitato. Sua madre era un'alta India del Suriname, con
lo sguardo inquietante come Sendero Luminoso.
Elena aveva sei anni. Era bella come un angelo in posa per una foto artistica.
Aveva gli occhi scuri, immensi e tristi, la pelle del colore della sabbia bagnata.
I suoi capelli nero bachelite brillavano come se li avessero lucidati uno per uno e non
la finivano mai di scenderle giù per la schiena e il sedere.
Il suo naso incantevole avrebbe fatto venire un'amnesia a Pascal.
Le sue guance disegnavano un ovale celestiale, ma bastava vedere la perfezione
della sua bocca per capire quanto era cattiva.
I miei genitori avevano degli amici. Erano gente che loro vedevano per bere
insieme degli alcolici di tutti i colori. Come se non avessero potuti berli
senza di loro!
A parte questo, gli amici servivano a parlare e ad ascoltare. Uno gli
raccontava delle storie prive di significato e loro ridevano forte e ne
raccontavano altre. E poi mangiavano.
A volte gli amici ballavano. Era uno spettacolo che lasciava costernati.
In poche parole, gli amici erano una categoria di persone che si incontravano
per abbandonarsi in loro compagnia a comportamenti assurdi, se non addirittura
grotteschi, oppure per dedicarsi ad attività normali ma alle quali loro non
erano necessari.
Avere degli amici era un segno di degenerazione.
Ogni volta che c'è liberazione per mezzo del vento e della velocità, c'è un
cavallo. Definisco cavallo non ciò che ha quattro zampe e produce sterco, ma
ciò che maledice il suolo e me ne allontana, ciò che mi solleva e mi
costringe a non cadere, ciò che mi calpesterebbe a morte se cedessi alla
tentazione del fango, ciò che mi fa danzare il cuore e nitrire il ventre,
ciò che mi spinge ad un'andatura così forsennata che devo stringere le
palpebre, poiché anche la luce più pura non abbaglierà mai quanto
la sferza dell'aria.
Definisco cavallo quel luogo unico dove è possibile perdere ogni ormeggio,
ogni pensiero, ogni coscienza, ogni nozione di futuro, per essere solo
uno slancio, una vela spiegata.
Definisco cavallo quell'accesso all'infinito, e cavalcata quel momento
in cui incontro le schiere innumerevoli dei Mongoli, dei Tartari, dei
Saraceni, dei Pellerossa o di altri fratelli di galoppo che hanno vissuto
solo per essere cavalieri, cioè per essere.
L'élite dell'umanità erano le bambine. L'umanità esisteva affinché loro
esistessero.
Le donne e i ridicoli erano menomati: il loro corpo presentava errori
il cui aspetto non poteva ispirare che il riso.
Solo le bambine erano perfette. Nel loro corpo non sporgeva niente,
né un'appendice grottesca né ridicole protuberanze. Erano concepite
alla perfezione, profilate per non offrire alcuna resistenza alla vita.
Non avevano un'utilità materiale, ma erano più necessarie di chiunque altro,
perché erano la bellezza dell'umanità - la vera bellezza, quella che è
pura gioia di esistere, dove non c'è nessun intralcio, dove il corpo è
felicità dalla testa ai piedi. Bisogna essere stati una bambina per
sapere che sensazione deliziosa può essere avere un corpo.
Perché Elena era veramente meravigliosa. La sua grazia italiana,
piena di civiltà squisita, d'eleganza e di spirito, si mescolava
al sangue amerindio di sua madre, con tutto il selvaggio lirismo
dei sacrifici umani e di altre mirabili barbarie che il mio gusto
ingenuo per il pittoresco gli associa tuttora. Dallo sguardo della
bella stillavano al tempo stesso il curaro e Raffaello: c'era di
che cadere morti stecchiti in un secondo.
E la ragazzina lo sapeva bene.
Quel giorno nel cortile della scuola non potei impedirmi di dirle
quel grande classico che, sulle mie labbra, era un inedito di una
sincerità sconfinata:
- Sei così bella che per te farei qualsiasi cosa.
- Me l'hanno già detto - osservò lei con tono indifferente.
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